castell'apertole

Un piccolo paese sulla strada per Trino

La frazione Castell’Apertole è situata nella zona cosiddetta delle “Grange”. Le grange, nel XV e XVII secolo, erano le fattorie dei monasteri e quelle sorte in questa zona del vercellese appartenevano alle abbazie di San Genuario e di Santa Maria di Lucedio.
Il latifondo delle Apertole comprendeva sette Grange: Il Castello, Michelina, Mandrietta, Mandria, Dosso dei Bruchi, Cascina Nuova, Monte San Pietro. Nel corso dei secoli il latifondo fu ceduto alla Comunità di Livorno, che, nel 1695, lo fece passare ai Savoia. Nel Settecento i Savoia adibirono parte degli edifici a residenza di caccia, tra cui il fabbricato del castello; altri edifici vennero, invece, utilizzati per l’allevamento dei cavalli e dei cani da caccia. A seguito delle vicissitudini legate all’arrivo dei Francesi, il tenimento delle Apertole fu dichiarato bene nazionale e solo nel 1814 tornò nelle mani dei Savoia. Da allora, il tenimento cambiò diversi proprietari all’interno di CasaSavoia e, nel 1831, divenne di proprietà della regina Maria Cristina Teresa di Borbone di Sicilia. A lei è dovuto il restauro della chiesa parrocchiale.
Nel 1923 il tenimento venne ceduto all’Azienda Immobiliare Vercellese, che, nel 1931, lo scompose in otto lotti indipendenti per far fronte alla crisi risicola ed investire.
Dal 1956 la Tenuta Castell’Apertole è di proprietà della famiglia Boggio Sella. Recentemente la frazione è stata oggetto di lavori di riammodernamento ed adattamento e vi sorgono un bed and breakfast, un bar, una piscina e luoghi per lo svago.

Palazzo Chiablese


Vittorio Amedeo II re di Sardegna, novello proprietario delle Apertole, con regio viglietto firmato alla Venaria Reale in data 11 dicembre 1721 intendendo potenziare l’allevamento di razza affidò l’incarico al conte di Montalenghe, auditore nella regia Camera dei Conti di far ridurre in parte a coltura e in parte a prati fertili il tenimento delle Apertole a noi spettante.

            Fu previsto che 2400 giornate fossero chiuse da un fosso maestro e 900 di queste fossero adibite al pascolo delle cavalle di razza in vicinanza del baraccone esistente mentre altre 200 fossero riservate per il pascolo dei puledri; ne conseguì che le restanti 1300 giornate sarebbero state ridotte a coltura facendovi fabbricare le opportune fabbriche per ospitare i massari, il bestiame e i prodotti agricoli, destinando a ogni massarizio 80 giornate fra prati e campi.

            Il disegno del re, negli intenti progettuali basandosi su un tippo redatto intorno al 1725 dall’architetto Carlo Antonio Castelli, livornese di residenza, dove era rappresentata l’intera superficie fondiaria e la sola “cascina vecchia” (il “cascinotto”) abbattuta negli anni ottanta del novecento, prevedeva un appoderamento graduale con la creazione di 26 cascine integrate in 7 grange che avrebbe obbligato un cospicuo investimento di capitali e di lavori per il dissodamento e la sistemazione del gerbido, la costruzione di fabbricati sia d’abitazione che di servizio, canalizzazioni, strade e ponti, piste da riso, piantumazioni diverse di arbre (pioppi), verne (ontani), salici e olmi, con la creazione altresì di un borgo ove concentrare il casone, l’osteria, le botteghe del fabbro e del falegname, i magazzini dei cereali e dulcis in fundo la chiesa, edificata nel 1731 e dedicata a San Rocco, simbolo di aggregazione e appartenenza, oltreché la palazzina padronale in seguito ribattezzata “Palazzo Chiablese”.

            Il Palazzo fu edificato intorno al 1730 per volere di re Vittorio Amedeo II, come casa padronale di campagna in concomitanza della formazione del nuovo borgo rurale di Apertole.

        Non si conosce il nome dell'architetto che lo progettò, pur tuttavia la presenza dell'architetto Carlo Antonio Castelli, residente a Livorno Ferraris, già impegnato dal re nel 1725 alle Apertole e nella vicina San Genuario merita una particolare attenzione ai fini attributivi, in considerazione altresì del buon uso del cotto, retaggio di apprendistato nello studio del Bertola.

      Il fabbricato è esposto su tre livelli e presenta un avancorpo sia in facciata che nel retro-facciata con due maniche laterali; in cotto come peraltro tutti i fabbricati formanti il Tenimento. Il corpo centrale misura in pianta metri 11,70 x 12,30 mentre le maniche simmetriche misurano metri 11,25 x 8,30.

        Il piano terra in origine era adibito ai servizi: amministrazione e rappresentanza; mentre il piano nobile era riservato alla proprietà che ne disponeva secondo le necessità del momento. Il terzo piano era invece destinato alla servitù: ogni piano poteva contare su 6 ambienti. La doppia scala di accesso ai piani era ubicata nell'avancorpo del retro-facciata mentre attorniante il fabbricato un pleasure ground all'inglese con alberi ombriferi d'alto fusto.

        L'aspetto austero dell'esterno si rifletteva anche nell'interno. Non ci sono giunti i decori che sicuramente abbellivano gli ambienti anche se non avrebbero certo ostentato inutili sfarzosità ne un'ipocrita modestia: una giusta via di mezzo per garantire quella tranquillità cercata e trovata in un piccolo ambiente nascosto tra i campi.

        In facciata, nell'avancorpo, è murato un imponente stemma in marmo bianco di Casa Savoia; posto al primo piano sopra la porta d'ingresso, a certificare l'originaria proprietà committente.

        Il Palazzo poco alla volta, venendo a mancare il precipuo scopo economico per cui era nato, si convertì prima in palazzina di caccia, quindi in maison de loisir al tempo di re Carlo Felice e della regina Maria Cristina, desiderosi di vita quieta e appartata, lontano dai trambusti e dalle frivolezze di corte; non trova credito la diceria, utilizzata più che altro a titolo di pruriginosa pubblicità, che il Palazzo sia stato usato da re Carlo Felice come alcova per i suoi incontri galanti. Re Carlo Felice era di una morigeratezza assoluta, non attratto dalle vanità del mondo né dalla politica; più che altro amava la cultura: sua la formazione del Museo Egizio di Torino.

        In tempi recenti il Palazzo è stato oggetto di ristrutturazione e riqualificazione su progetto dell'arch. Giovanni Bianco: inizialmente per ospitare un Centro Benessere-SPA, successivamente è stato riadattato per ospitare una Casa Famiglia.

                                                   Giuliano Giovanni Franco