Museo Ferraris

Nel 1925 la casa natale di Galileo Ferraris fu donata al Comune di Livorno Ferraris, grazie alla sottoscrizione promossa dall'Associazione Elettrotecnica Italiana (AEI) e da un Comitato Donatore, presieduto da Carlo Montu.
Da parte sua, il Comune si assumeva l'obbligo di adibire alcune stanze "a Museo contenente cimeli e memorie del grande Livornese" .
Per accogliere degnamente i ricordi di Galileo Ferraris, fu ideata una sistemazione architettonica che avrebbe unito in un solo palazzo la Casa Ferraris con l'attiguo edificio, sede del Comune.
Nel 1931 il presidente dell'AEI Ugo Bordoni e il presidente del Comitato Donatore Carlo Montu consegnarono al podestà Pietro Mocca il Museo Sacrario Galileo e Adamo Ferraris, che raccoglieva documenti e oggetti legati alla memoria dei due fratelli Ferraris.

Nel palazzo, sistemato secondo il progetto dell'ingegner Mollino, il Museo era allestito in tre stanze a sud-est del primo piano, fra le quali era inclusa la camera dove nacque Galileo Ferraris. L'allestimento del Museo riproponeva materiale e assetto espositivo già utilizzati nelle mostre commemorative che seguirono di poco la morte di Galileo Ferraris.
Esse si articolarono in tre momenti principali: la sistemazione museale dello studio già occupato dallo scienziato, presso il Museo Industriale di Torino;
l'esposizione dei cimeli ferrarisiani - accanto a quelli di Volta e Pacinotti - nel Padiglione dei Sommi Elettricisti, presso l'Esposizione Generale Italiana in Torino del 1898;
una analoga mostra, dedicata a Galileo Ferraris e alla sua Scuola, nel Padiglione del Regio Museo Industriale in Torino, presso l'Esposizione Nazionale Elettrica in Como del 1899.

Non è da escludere l'ipotesi che parte del materiale conservato nello studio di Galileo Ferraris possa essere confluita a Livorno. Notiamo che nel 1931, anno di fondazione del Museo Sacrario, si stava preparando il trasferimento della Scuola di Elettrotecnica, dal Museo Industriale all'istituto Elettrotecnico Nazionale (IEN), nella sede di corso Massimo d'Azeglio finita di costruire in quello stesso anno.
La corrispondenza degli arredi e dei cimeli conservati presso il Museo Industriale e presso il Museo di Livorno risulta comunque molto precisa.

La derivazione da modelli espositivi precedenti spiega l'aspetto ancora prettamente ottocentesco dell'allestimento, che caratterizza il Museo Sacrario all'epoca della sua inaugurazione. Che si tratti di documenti e arredi originali o di copie d'epoca, appare comunque evidente il legame ideale fra il Museo di Livorno e le prime commemorazioni ferrarisiane. Nonostante l'epoca effettiva dell'inaugurazione, non e quindi possibile stabilire alcun rapporto con i criteri espositivi che il razionalismo architettonico proponeva in quegli anni nelle mostre di Milano o di Torino.

Alla raccolta e all'esposizione di documenti e oggetti in memoria di Galileo Ferraris si dedico principalmente uno dei suoi discepoli, Carlo Montù. A lui si devono l'allestimento e la documentazione fotografica delle mostre commemorative già menzionate e del Museo di Livorno.
Fu lo stesso Montù che accorse a Como per recuperare i cimeli danneggiati nell'incendio che colpi l'Esposizione Elettrica del 1899. II danno più grave era toccato proprio ai preziosi modelli di motori a campo magnetico rotante, ideati da Galileo Ferraris e costruiti dal modellatore della Scuola di Elettrotecnica, Clerici.

I loro resti, conservati presso il Museo Industriale di Torino, andarono poi definitivamente perduti nel bombardamento che colpi la sede del Museo nel 1942.
Dopo l'incidente di Como, Guido Grassi - successore di Galileo Ferraris presso la Scuola di Elettrotecnica - fece riprodurre gli esemplari danneggiati, probabilmente dallo stesso Clerici. Altre copie furono costruite sotto la guida di Giancarlo Vallauri direttore della Scuola di Elettrotecnica dal 1926 - dal meccanico Regis, successore di Clerici. Le serie conservate presso I'IEN di Torino e presso il Museo di Livorno fanno parte di queste copie storiche, eseguite ancora presso la Scuola.

Diversamente dagli sfortunati modelli, la maggior parte del materiale relative a Galileo Ferraris esposto a Como fu salvato.

Fra l'altro, i fascicoli con memorie scientifiche a stampa e autografe, gli album di commemorazioni e necrologie raccolte da Montù, il grande ritratto fotografico eseguito da Masoero, il calco funerario modellato da Calandra: oggetti tuttora presenti nel Museo di Livorno.
Nelle mostre ottocentesche compaiono anche le bacheche di gusto eclettico, un po' funeree, che caratterizzavano il primo allestimento livornese: la più grande conteneva, nella vetrina inferiore, i modelli del campo magnetico; sotto, sull'apposito ripiano, un "misuratore del titolo di vapore".
www.museoferraris.it


Museo archeologico del vercellese occidentale - M.A.V.O.

Il Museo Archeologico del Vercellese Occidentale (MAVO) è ospitato nel fabbricato adiacente la chiesa di Santa Maria della Grazie e facente parte dell’ex convento degli agostiniani, divenuto proprietà comunale nel 1804 in seguito alle confische dei beni ecclesiastici volute da Napoleone e destinato ad uso scolastico. Nel 1876 divenne asilo infantile ed ebbe tale funzione fino al 1985, per tanto la scelta di questo luogo non è stata casuale, ma vuole rimarcare la sua continuità nella vocazione didattica e nella memoria dei livornesi. La realizzazione della linea ferroviaria Alta Velocità-Alta Capacità, negli anni Duemila, ha consentito ai ricercatori di poter effettuare uno studio sistematico di questa zona del vercellese, portando alla sua valorizzazione e recuperando fondamentali tracce dell’attività e dello stanziamento umano antico; sono stati messi in luce, a circa 2 km a Nord del centro abitato di Livorno Ferraris, i resti della necropoli dell’insediamento livornese di età romana. A queste realtà si sono aggiunti altri contesti archeologici del territorio, da Balocco, dove è stato individuato un abitato dell’età del Bronzo, a Crescentino, la cui necropoli riconduce a un altro importante centro romano, lungo una delle tante strade che i Romani avevano tracciato sul territorio vercellese. Il MAVO è stato pensato con lo scopo di ripercorrere a ritroso nel tempo la Storia e, contemporaneamente, di guardare al futuro delle nuove generazioni che abiteranno o passeranno in queste terre ricche di cultura. I dati raccolti dalle varie équipes multidisciplinari di studiosi e i reperti esposti nelle sale di questo museo intendono quindi narrare la storia millenaria attraverso un viaggio nel tempo: un viaggio cui i ritrovamenti e la nascita del MAVO hanno dato solo l’avvio, ma che continua attraverso ricerche archeologiche congiunte di Soprintendenza e Università, e la collaborazione del Comune, con costanti aggiornamenti che trovano nel museo il loro centro di raccolta, valorizzazione e comunicazione. La vasta area di necropoli individuata nel territorio livornese ci fornisce molteplici indicazioni sulla vita romana del territorio: nelle vicinanze doveva trovarsi il vicus (villaggio) abitato dalla fine del I secolo a. C. al IV secolo d. C. Lo si deduce dal fatto che i suoi abitanti hanno utilizzato quello spazio per onorare i propri defunti per un lungo periodo di tempo, durato oltre 400 anni. Oltre alle strutture più consistenti in ciottoli, individuate ad Ovest della necropoli e conservate a livello di fondazione, sono state scavate 215 deposizioni di cui 190 contenenti oggetti. I reperti, per le loro caratteristiche specifiche che consentono di collocarli con precisione nel tempo, hanno consentito agli archeologi di individuare il periodo in cui era stato deposto, e quindi quello in cui era vissuto, il defunto, nonché di vedere quanto a lungo fu utilizzata la necropoli e di conseguenza datare la vita della comunità. Una decina di tombe databili all’età augusteo-tiberiana si riferisce infatti alle prime fasi dell’insediamento di Livorno Ferraris tra la fine del I secolo a. C. e l’inizio del I secolo d. C. Il rito funebre attestato è quello dell’incinerazione indiretta. Le ceneri erano conservate entro un’olla in ceramica, solo in un caso in vetro. Le fosse sono scavate nella nuda terra, ma non mancano esempi di cassette realizzate con tegole. Un cambiamento nel rituale funerario, che prevede anche tombe a inumazione entro casa in laterizi, come negli oggetti di corredo indica che, nel III-IV secolo, la comunità livornese continuava esistere e a interfacciarsi con il territorio. I 500 oggetti recuperati, la qualità dei manufatti ceramici e vitrei, gli utensili e gli ornamenti in metallo testimoniano un livello di vita mediamente agiato, con presenza di oggetti di censo più elevato. La linea Alta Velocità Torino-Milano ha portato anche alla scoperta di un altro importante sito. A Balocco, lungo il corso del fiume Cervo, 3300 anni fa si sviluppò un abitato, di cui si sono conservate alcune fosse di scarico poste probabilmente in una zona periferica dell’abitato, dove erano sicuramente concentrate le attività artigianali. Lo scavo ha portato alla luce delle buche di forma irregolare, contenenti ciottoli, frammenti di ceramica, frustoli carboniosi e grumi di argilla cotta. Probabilmente sono buche scavate per estrarre argilla e successivamente riempite dagli abitanti del villaggio come immondezzai. La forma dei vasi e le loro decorazioni hanno consentito di datare il sito di Balocco agli inizi dell’età del Bronzo recente. I reperti legati alla realtà abitativa di Crescentino sono stati rinvenuti tra 1999 e il 2001, nella necropoli di età romana imperiale sita nella frazione Li Galli, scavata con metodo scientifico stratigrafico, che ha consentito di mettere in luce 54 deposizioni, databili dal 25 al 75 d. C. Le sepolture occupavano un’area ellittica, le fosse, scavate nella nuda terra, avevano forma irregolare, circolare o ellittica. I resti del rogo funebre erano contenuti in un’olla di ceramica, talvolta chiusa da una ciotola. Alla necropoli di Crescentino, ancora in fase di studio, si sono aggiunti ritrovamenti nel 2003, presso via Michelangelo, di un’altra ventina di sepolture di età romana e tardoantica, oltre a lacerti di strutture forse insediative. Le sepolture, qui sia a incinerazione che a inumazione entro nuda terra delimitata da ciottoli o cassetta in embrici laterizi, confermano come l’area fosse frequentata per tutto il periodo romano.

Ecomuseo della Coltura del Riso

Il Museo nasce per far conoscere alle giovani generazioni quelle che furono le condizioni e le abitudini di vita e di lavoro della nostra gente, allo scopo di testimoniare e valorizzare la memoria storica, e la conservazione della cultura livornese. Il museo è nato perché molte persone hanno creduto in questo progetto che rispecchia importanti aspetti patrimoniali ed affettivi e perché non svanisca nel tempo il ricordo di persone che tanto hanno dato alla nostra comunità. I Titolari della Tenuta Torrione della Colombara hanno gentilmente concesso l'uso dei locali per la sistemazione degli attrezzi; tutto quanto esposto, restaurato e catalogato in forma assolutamente gratuita è stato donato alla Pro Loco da cittadini livornesi. Gli oggetti e le attrezzature (arredamento cucina e camera da letto, laboratori del fabbro, maniscalco, margaio, scuola, macchine e carri agricoli), sono raccolti e presentati in modo che il visitatore possa meglio ricordare e capire le attività del passato. Sempre all'interno della tenuta è possibile visitare la nuova e moderna Riseria dove è stata ricostruita la filiera completa del riso ecologico, dalla coltivazione alla trasformazione e confezionamento (Riso Acquerello).